Tivoli

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STORIA BREVE
Tìvoli è un comune italiano di 54 687 abitanti[4] della città metropolitana di Roma Capitale nel Lazio.
Antica città latina con il nome Tibur, chiamata da Virgilio con il titolo di Tibur Superbum (Eneide, Lib. VII) che tuttora campeggia nello stemma cittadino, si vanta di essere più antica di Roma, secondo lo storico Dionigi di Alicarnasso sarebbe stata fondata dagli Aborigeni in conseguenza del rito della primavera sacra[7].
L’insediamento arcaico si pensa che nacque nel 1215 a.C. e si fortificò sulla riva sinistra dell’Aniene ad opera dei Siculi, dove successivamente sorsero dapprima le fortificazioni nell’attuale contrada di San Paolo (presumibilmente nei secoli XI-X a.C.) e successivamente (VIII-VII sec.), avvicinandosi gli abitanti al fiume, l’acropoli e gli edifici antichi (dove sarebbero tornati poi ad arroccarsi i cittadini tiburtini del Medioevo), avvantaggiandosi della posizione dominante sul guado che costituiva il percorso più breve per la transumanza delle greggi fra l’Agro Romano e l’Abruzzo, lungo la direttrice che sarebbe poi diventata la via Valeria. Ancor oggi la contrada dell’antica acropoli si chiama Castrovetere.
Fonte: Wikipedia
Villa d'Este
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La villa d’Este di Tivoli è una villa del Rinascimento italiano e figura nella lista dei patrimoni dell’umanità dell’UNESCO.
La villa fu voluta dal cardinale Ippolito d’Este[1], figlio di Alfonso I e di Lucrezia Borgia (Ferrara 1509 – Roma 1572), su un sito già anticamente sede di una villa romana.
La storia della sua costruzione è legata alle vicende del primo proprietario. Papa Giulio III del Monte volle ringraziare il cardinale d’Este per l’essenziale contributo dato nel 1550 alla propria elezione al soglio pontificio nominandolo governatore a vita di Tivoli e del suo territorio. Il cardinale arrivò a Tivoli il 9 settembre e vi fece un’entrata trionfale, scoprendo però che gli sarebbe toccato di abitare in un vecchio e scomodo convento annesso alla chiesa di Santa Maria Maggiore, edificato secoli prima dai benedettini, ora tenuto dai francescani e parzialmente riadattato a residenza del governatore.
I lavori furono affidati all’architetto Pirro Ligorio, affiancato da un numero impressionante di artisti e artigiani. La realizzazione della fabbrica seguì però le vicissitudini curiali del cardinale governatore, destituito nel 1555 dal papa Paolo IV Carafa, poi ripristinato nella carica da papa Pio IV nel 1560, poi danneggiato nelle prebende dai pessimi rapporti di papa Pio V con i francesi, che erano da sempre i suoi grandi alleati. Si dovettero inoltre acquistare i terreni necessari da ben due chiese appartenenti a ordini diversi, operazioni che durarono fino al 1566, e convogliare le acque dell’Aniene con nuovi cunicoli che provenivano dalle cascate. Anche i materiali da costruzione creavano problemi: il permesso, ottenuto dal Senato di Roma, di utilizzare il rivestimento di travertino della tomba di Cecilia Metella per i lavori di costruzione della villa, venne successivamente revocato (non prima che fosse asportato tutto il rivestimento della fascia inferiore del monumento, lasciato come oggi si presenta).
Il cardinale ebbe appena il tempo di godersi la solenne inaugurazione della villa, avvenuta nel settembre del 1572 con la visita di papa Gregorio XIII; morì infatti il 2 dicembre dello stesso anno.
L’ultimo proprietario privato della villa fu l’arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo-Este, erede al trono dell’Impero austro-ungarico; egli avrebbe voluto disfarsene, vendendola allo Stato italiano per l’enorme cifra di due milioni di lire dell’epoca, per la quale il governo italiano tergiversò lungo tempo; ma l’assassinio dell’arciduca a Sarajevo, il 28 giugno 1914, liberò l’Italia da quella “noiosa faccenda”, come ebbe modo di dire, con riferimento alle trattative di vendita, il ministro degli esteri italiano Marchese Antonino di San Giuliano al primo ministro Antonio Salandra, nel comunicargli la mesta notizia dell’assassinio dell’arciduca[2].
Nel 1918, dopo la prima guerra mondiale, la villa passò allo Stato Italiano che diede inizio ad importanti lavori di restauro, ripristinandola integralmente negli anni 1920-1930 e aprendola al pubblico. Nel 1928, lo Stato affidò l’esecuzione di un affresco di una sala del palazzo, sul tema delle arti e dei mestieri al pittore futurista Emilio Notte. Un’altra serie di restauri fu poi eseguita nel secondo dopoguerra per riparare i danni causati da alcune bombe cadute sul complesso durante l’ultimo conflitto mondiale.
Particolarmente interessanti sono gli interni, di cui il piano nobile fu decorato e dipinto da un nutrito gruppo di artisti sotto la direzione di Livio Agresti da Forlì.
Il giardino, opera di Pirro Ligorio, si estende a partire dalla facciata posteriore della villa, rispetto all’ingresso attuale del palazzo, ed è articolato fra terrazze e pendii, con un asse longitudinale centrale e cinque assi trasversali principali, collegando e raccordando con maestria le diverse pendenze del giardino, utilizzando uno schema architettonico tipico delle città romane.
Tutte le fontane erano poi alimentate senza uso di alcun congegno meccanico, ma soltanto sfruttando la pressione naturale e il principio dei vasi comunicanti. Il risultato è solo in parte visibile ai giorni nostri: 35.000 m2 complessivi di giardini, 250 zampilli, 60 polle d’acqua, 255 cascate, 100 vasche, 50 fontane, 20 esedre e terrazze, 300 paratoie, 30.000 piante a rotazione stagionale, 150 piante secolari ad alto fusto, 15.000 piante ed alberi ornamentali perenni, 9.000 m2 di viali, vialetti e rampe.
Fonte: Wikipedia
Villa Adriana
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La Villa Adriana fu una residenza imperiale extraurbana, fatta realizzare presso Tivoli dall’imperatore Adriano (117–138).
La struttura appare come un ricco complesso di edifici realizzati gradualmente ed estesi su una vasta area, che doveva coprire circa 120 ettari, in una zona ricca di fonti d’acqua a pochi chilometri dal centro abitato di Tibur e 17 miglia romane dall’Urbs[1]. Nel 1999 Villa Adriana è stata dichiarata Patrimonio dell’umanità dall’UNESCO.
«Fece costruire con eccezionale sfarzo una villa a Tivoli dove erano riprodotti con i loro nomi i luoghi più celebri delle province dell’impero, come il Liceo, l’Accademia, il Pritaneo, la città di Canopo, il Pecile e la valle di Tempe; e per non tralasciare proprio nulla, vi aveva fatto raffigurare anche gli inferi.» |
(Historia Augusta, Vita Hadriani, XXVI, 5) |
Tra le molte ville rustiche che fin dall’età repubblicana erano sorte fra Roma e Tivoli, ne esisteva già una costruita nel periodo sillano, ingrandita all’epoca di Giulio Cesare, pervenuta forse in proprietà della moglie di Adriano, Vibia Sabina, che proveniva da una famiglia di antica nobiltà italica[2]. Fu questo il primo nucleo della villa, incorporato poi nel Palazzo imperiale.
Lo studio del sistema di canalizzazione e delle fognature sembra indicare che la progettazione del complesso sia stata unitaria, anche se dai bolli laterizi ritrovati in circa metà degli edifici emergono tre fasi di costruzione particolarmente attive tra il 118 e il 121, il 125 e il 128 e il 134–138 (consentendo di abbracciare un intervallo presumibile di costruzione tra il 118 e il 138). Di ritorno a Roma nei primi mesi del 134, Adriano poté godere della villa solamente gli ultimi anni della sua esistenza, fino alla morte avvenuta a Baia il 10 luglio 138.[3]
L’uso della Villa è confermato fino almeno al III secolo come residenza imperiale: dopo i tumultuosi anni dell’anarchia militare gli imperatori non si stabilirono più a Roma per lunghi periodi, ed è probabile che la Villa Adriana fosse in stato di abbandono già prima del 476. Le rovine della Villa furono in seguito depredate dalla classe dirigente della Roma pontificia, anche se un interesse storico nell’area si sviluppò già dal primo Rinascimento.
Fonte: Wikipedia
Villa Gregoriana
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Villa Gregoriana – rinominata dal FAI dopo il restauro Parco Villa Gregoriana – è un’area naturale di grande valore storico e paesaggistico che si trova a Tivoli, nella valle scoscesa tra la sponda destra dell’Aniene e l’antica acropoli romana. Il sito è noto soprattutto per ospitare la Grande Cascata, e si può considerare un particolarissimo esempio di giardino romantico, per la sua conformazione e per la corrispondenza con il gusto dell’estetica del sublime, tanto caro ai romantici. L’intero percorso all’interno dell’area è stato recuperato dal Fondo Ambiente Italiano a partire dal 2002, ed è stato riaperto al pubblico nel 2005.
Fin dall’età arcaica l’area si rivelò strategicamente importante per le comunicazioni tra i popoli pastori della Valle dell’Aniene e la piana del Tevere: il percorso della transumanza, che scendeva dall’Abruzzo lungo i tratturi che nel III secolo a.C. sarebbero divenuti la Via Valeria, procedeva lungo la riva destra dell’Aniene fino a Tivoli, dove passava sulla riva sinistra, da cui più agevolmente si poteva proseguire verso la pianura.
Era qui che, a monte della grande cascata e soggetto alla sorveglianza (e ai pedaggi) dell’acropoli tiburtina, era stato costruito il primo ponte, e la nascita dell’antica Tibur in questo luogo si deve proprio alla posizione strategica del sito, uno sperone roccioso naturalmente difeso sul quale sorsero l’acropoli e l’abitato antico.
Fonte: Wikipedia
Tempio della Sibilla
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Il tempio della Sibilla è un antico tempio romano situato sull’acropoli di Tivoli, vicino al celebre tempio di Vesta. Nonostante l’attribuzione del tempio alla sibilla Albunea non è ben nota la divinità a cui esso era dedicato.
Venne eretto nel II secolo a.C. su una sostruzione artificiale che ampliava il piano dell’acropoli. Tale sostruzione è ancora visibile costeggiando le rovine del tempio per dirigersi verso villa Gregoriana. Orientamento est-ovest. Il tempio era uno pseudoperiptero tetrastilo; delle quattro colonne sul fronte principale se ne conservano due colonne, prive di capitello. Era di ordine corinzio, come testimoniato dall’abaco di una delle semicolonne (in totale 12, 5 lungo i fianchi e 2 nella parte posteriore) addossate alla cella. Il muro di ingresso della cella dal pronao è andato perduto. All’interno del tempio si insediò infatti una chiesa dedicata a san Giorgio, attestata sin dal 978. L’interno era decorato con stucchi e dipinti, andati perduti. Anche i dipinti della chiesa, visibili sino agli inizi del XXI secolo, sono scomparsi.
Fonte: Wikipedia